ANEDDOTO
 
Vita Vissuta a Bordo
 

Sono il Socio Effettivo ANATILOPAN Raffaele del Gruppo ANMI di Taranto.

 

Leggendo il nostro Periodico “Marinai d’Italia” del giugno 2009, mi sono soffermato sulla vicenda accaduta al Ten. G.N. Giorgio FERLATTI, Socio di Latina, imbarcato su Nave “POMONA”.

Mi sono chiesto: “perché non informare coloro che non sanno e nello stesso tempo ricordare a coloro che, imbarcati sul CT “AVIERE” e sulla Corvetta “ALBATROS”, hanno vissuto un tragico evento?

Premetto che non posso avvalermi delle date dell’accaduto, spero e mi auguro che coloro che hanno vissuto l’evento lo possono fare per me.

Inoltre non so se quello che sto per descrivere è stato già fatto, in tal caso vogliono scusarmi coloro che mi hanno preceduto.

 

Imbarcato sul C.T. Aviere nel 1960 , data che leggo sul mio libretto di navigazione, eravamo ormeggiati alla banchina Torpediniere di Taranto.

Alla nostra sinistra era ormeggiata la Corvetta ALBATROS, la quale innalzava a riva l’insegna di nave pronta a muovere per soccorso in mare ( SVH )

Noi invece innalzavamo l’insegna di Capo Squadriglia al comando del C.V. VIVALDI (credo).

Alle ore 15.00, non programmata, apertura del ponte girevole per l’uscita di Nave ALBATROS.

Dalla radio nulla trapelava per l’affrettata uscita in mare della nave.

Giornata soleggiata, ma molto ventilata.

Eravamo già pronti ad ascoltare per interfono: “Franchi in riga a poppa per l’ispezione” quando invece fu annunciato:” tutte le licenze, permessi e franchigie sono sospese fino a nuovo ordine”.

Il fumaiolo di prora iniziò ad emettere fumo nero.

Si pensò ad una esercitazione.

Il tempo trascorreva e Radio Scarpa continuava a tacere .

Ad un tratto ancora per interfono ascoltammo: ” Posto di manovra”.

Quest’ultimo ordine ci dette un pò di preoccupazione.

Lasciammo la banchina torpediniere dirigendoci in Mar Grande con l’apertura straordinaria del ponte girevole. Attraversato il Canale navigabile ci dirigemmo ad una boa  in Mar Grande e lì ci ormeggiammo in attesa di ordini.

Arrivata la sera venne servita la cena e successivamente assemblea generale a poppa per l’ammaina bandiera e lettura della Preghiera del Marinaio.

Personale di guardia ai loro posti e altri, invece, liberi dal servizio riuniti in gruppi ci si domandava la motivazione di quanto stava accadendo. Nessuno sapeva niente.

I gruppi pian piano iniziarono a sciogliersi raggiungendo le proprie brande.

A notte fonda venimmo svegliati dal” Capo Cannoniere (credo Capo Bianchi): “Sveglia dormiglioni, la sera leoni leoni e la mattina cogli… cogli…”.

La cosa che più dava fastidio era quel suo fischietto che trillava così forte  da fargli anche scoppiare i polmoni.

Intanto il secondo fumaiolo iniziava ad emettere fumo nero.

Posto di manovra,  abbandono della boa d’ormeggio, macchine avanti tutta, terzo grado di approntamento.

Lasciammo il Golfo di Taranto per destinazione ignota.

Iniziò così, il calvario dell’equipaggio del C.T. AVIERE.

La radio continuava a tacere.

Spuntò l’alba  e ci trovammo a navigare in un mare così agitato che solo il Padreterno conosceva la sua forza.

La prora della nave infrangeva le onde, mentre altre riuscivano a sollevare la nave tenendola sospesa sulla cresta dell’onda per poi farla ricadere facendola immergere e successivamente farla riaffiorare per ripetere la stessa altalena continuamente.

Dopo aver lasciato il Golfo di Taranto il personale addetto alla “plancia”, alle “macchine” e agli armamenti venne rilevato dal personale montante che dovette sacrificarsi per la durata della navigazione non ricevendo il cambio perché buona parte del personale era stato messo a “pagliolo” dal mare agitato.

La nave veniva governata da solo pochi uomini che li soprannominavo “cadaveri viventi” , tra cui il sottoscritto, cannoniere artificiere, che dovetti ispezionare e controllare i vari depositi munizioni dislocati da poppa a prora per tutta la navigazione.

Durante i miei frequenti controlli vedevo apparire dai boccaporti le teste del personale addetto alle macchine, che agonizzanti rigeneravano a turno l’aria nei loro polmoni pieni di fumo e aria maleodorante.

Ma una figura umana mi è rimasta impressa nella mente, era il Comandante in Seconda C.C.BRAUZZI.

Egli, personalmente, per tutta la navigazione, eseguiva molteplici controlli ai vari posti di guardia e soprattutto nella sala macchine.

Ci dava conforto, ci incoraggiava e innanzitutto ci esortava a mangiare le famosissime gallette ripetendoci:” mangiate ragazzi, buttate nello stomaco questi tozzi di gallette, vi salveranno”.

Chi poteva, durante questo calvario, portava da mangiare e da bere, sopratutto al personale di macchina.

Militari di grande responsabilità, seguiva poi il personale di guardia alle armi e alle apparecchiature di avvistamento.

Certamente penserete che veniva servita della minestra calda. Macchè, solo BRUNOSA, la fatidica BRUNOSA  che ha solcato tutti i mari del mondo, con una fettina di arrosto di carne o di mortadella il più delle volte (cuochi civili permettendo).

Finalmente qualcosa fu avvistato, era la Corvetta ALBATROS la quale girava intorno a due piccoli Dragamine. La radio finalmente dava segni di vita,

La Nave Albatros partita da Taranto per soccorso in mare di due dragamine che da Messina si trasferivano a Taranto. Durante la loro navigazione incapparono in una tempesta che lì portò   alla deriva e quindi scattò la richiesta d’aiuto.

L’ALBATROS arrivata in loro soccorso dopo vari tentativi di rimorchio per riportare nella giusta rotta i dragamine fu costretta a chiedere supporto al Comando Navale di Taranto.

Ecco spiegata la precipitosa uscita in mare del C.T. AVIERE .

Insieme le due unità riuscirono dopo vari tentativi a lanciare le sagole con attaccati i cavi per il rimorchio alle due imbarcazioni in difficoltà.

I cavi vennero recuperati dai dragamine e si iniziò così la manovra  del rimorchio da parte del C.T. AVIERE.

Diversi fasci di luce si scambiarono le due unità principali accompagnati da un urlo liberatorio da tutto il personale delle quattro unità. “Hurra” “Hurra”.

Imbarcazioni a rimorchio. Missione riuscita.

Buon rientro alla base Nave ALBATROS.

Così vedemmo allontanare la Nave ALBATROS con rotta terra.

Ripeto rotta terra perché le condizioni del mare non ci permettevano di rimorchiarli verso l’ITALIA ma bensì  verso la costa africana.

Tracciata la rotta, il porto più vicino era quello di Bengasi.

Il mare ancora ribelle non ci dava tregua.

E, con brunose, cioccolato, acqua e con a rimorchio i due dragamine ci dirigevamo verso il porto di Bengasi.

Ancora una volta la figura paterna del Comandante Brauzzi divenne ancora più utile distribuendo gallette (brunose finite) a tutto il personale di bordo.

Finalmente avvistammo il porto di Bengasi.

All’ordine   del Comandante venne dato fondo all’ancora e,  smorzato l’abbrivio, la nave si fermò. Venne calata la scialuppa con a bordo il Comandante Vivaldi (credo) la quale si diresse verso terra. Qualche autorità italiana, credo, lo stesse aspettando per delle informazioni.

Noi pensavamo che, malgrado tutto l’accaduto, saremmo andati in franchigia a togliere un po’ di salsedine e mangiare qualcosa e ………

Tutto questo venne meno perché al rientro della motobarca per interfono seguì il seguente messaggio: “ Sganciare e recuperare i cavi di rimorchio dalle due imbarcazioni, salpare l’ancora rotta per l’Italia”.

 I due dragamine con i loro motori raggiunsero il porto di Bengasi, mentre noi riprendevamo la lotta contro le avversità del mare.

In quel periodo non credo ci fosse tanta amicizia con alcuni stati africani, comunque con la poppa rivolta al porto di Bengasi e la prora verso l’Italia, con un mare che finalmente col passare delle ore si placava, riprendemmo il mare.

Rotta per l’Italia concludendo la missione.

Arrivati nel porto di Taranto dopo cinque giorni e quattro notti trascorsi in mare ci ormeggiammo alla banchina torpediniere.

Dopo il posto di manovra e la messa in sicurezza delle macchine, si videro uscire dai boccaporti delle sale macchine quei cadaveri viventi dei meccanici ma meravigliosi ragazzi dal Direttore di macchina all’Ultimo meccanico che si sono sacrificati con tante e tante ore di lavoro senza mai abbandonarlo.

Una stretta di mano e un grande abbraccio a tutti loro e a tutto l’equipaggio con particolare riguardo al Comandante BRAUZZI che ci ha saputo guidare in quella circostanza in aiuto dei nostri commilitoni in difficoltà.

La nave aveva subito in quella circostanza delle serie avarie che la ccostrinsero ad entrare in bacino per grandi lavori.

Non ricordo altri nomi perché durante i lavori della nave molti dell’equipaggio sbarcarono per altre destinazioni, mentre io conclusi il mio imbarco tra nave AVIERE e ARTIGLIERE lasciando quest’ultima a Trieste il 6 ottobre 1964.