Imbarcato
sul C.T. Aviere nel 1960 , data che leggo sul mio libretto di
navigazione, eravamo ormeggiati alla banchina Torpediniere di
Taranto.
Alla
nostra sinistra era ormeggiata la Corvetta ALBATROS, la quale
innalzava a riva l’insegna di nave pronta a muovere per soccorso
in mare ( SVH )
Noi invece
innalzavamo l’insegna di Capo Squadriglia al comando del C.V.
VIVALDI (credo).
Alle ore
15.00, non programmata, apertura del ponte girevole per l’uscita
di Nave ALBATROS.
Dalla
radio nulla trapelava per
l’affrettata uscita in mare della nave.
Giornata
soleggiata, ma molto ventilata.
Eravamo
già pronti ad ascoltare per interfono: “Franchi in riga a
poppa per l’ispezione” quando invece fu annunciato:” tutte
le licenze, permessi e franchigie sono sospese fino a nuovo
ordine”.
Il
fumaiolo di prora iniziò ad emettere fumo nero.
Si pensò
ad una esercitazione.
Il tempo
trascorreva e Radio Scarpa continuava a tacere .
Ad un
tratto ancora per interfono ascoltammo: ” Posto di manovra”.
Quest’ultimo ordine ci dette un pò di preoccupazione.
Lasciammo
la banchina torpediniere dirigendoci in Mar Grande con
l’apertura straordinaria del ponte girevole. Attraversato il
Canale navigabile ci dirigemmo ad una boa in Mar Grande e lì ci
ormeggiammo in attesa di ordini.
Arrivata
la sera venne servita la cena e successivamente assemblea
generale a poppa per l’ammaina bandiera e lettura della
Preghiera del Marinaio.
Personale
di guardia ai loro posti e altri, invece, liberi dal servizio
riuniti in gruppi ci si domandava la motivazione di quanto stava
accadendo. Nessuno sapeva niente.
I gruppi
pian piano iniziarono a sciogliersi raggiungendo le proprie
brande.
A
notte fonda venimmo svegliati dal” Capo Cannoniere (credo Capo
Bianchi): “Sveglia dormiglioni, la sera
leoni leoni e la mattina cogli… cogli…”.
La cosa
che più dava fastidio era quel suo fischietto che trillava così
forte da fargli anche scoppiare i polmoni.
Intanto il
secondo fumaiolo iniziava ad emettere fumo nero.
Posto di
manovra, abbandono della boa d’ormeggio, macchine avanti tutta,
terzo grado di approntamento.
Lasciammo
il Golfo di Taranto per destinazione ignota.
Iniziò
così, il calvario dell’equipaggio del C.T. AVIERE.
La radio
continuava a tacere.
Spuntò
l’alba e ci trovammo a navigare in un mare così agitato che
solo il Padreterno conosceva la sua forza.
La prora
della nave infrangeva le onde, mentre altre riuscivano a
sollevare la nave tenendola sospesa sulla cresta dell’onda per
poi farla ricadere facendola immergere e successivamente farla
riaffiorare per ripetere la stessa altalena continuamente.
Dopo aver
lasciato il Golfo di Taranto il personale addetto alla
“plancia”, alle “macchine” e agli armamenti venne rilevato dal
personale montante che dovette sacrificarsi per la durata della
navigazione non ricevendo il cambio perché buona parte del
personale era stato messo a “pagliolo” dal mare agitato.
La nave
veniva governata da solo pochi uomini che li soprannominavo “cadaveri
viventi” , tra cui il sottoscritto, cannoniere artificiere,
che dovetti ispezionare e controllare i vari depositi munizioni
dislocati da poppa a prora per tutta la navigazione.
Durante i
miei frequenti controlli vedevo apparire dai boccaporti le teste
del personale addetto alle macchine, che agonizzanti
rigeneravano a turno l’aria nei loro polmoni pieni di fumo e
aria maleodorante.
Ma una
figura umana mi è rimasta impressa nella mente, era il
Comandante in Seconda C.C.BRAUZZI.
Egli,
personalmente, per tutta la navigazione, eseguiva molteplici
controlli ai vari posti di guardia e soprattutto nella sala
macchine.
Ci dava
conforto, ci incoraggiava e innanzitutto ci esortava a mangiare
le famosissime gallette ripetendoci:” mangiate ragazzi,
buttate nello stomaco questi tozzi di gallette, vi salveranno”.
Chi
poteva, durante questo calvario, portava da mangiare e da bere,
sopratutto al personale di macchina.
Militari
di grande responsabilità, seguiva poi il personale di guardia
alle armi e alle apparecchiature di avvistamento.
Certamente
penserete che veniva servita della minestra calda. Macchè, solo
BRUNOSA, la fatidica BRUNOSA che ha solcato tutti i mari del
mondo, con una fettina di arrosto di carne o di mortadella il
più delle volte (cuochi civili permettendo).
Finalmente
qualcosa fu avvistato, era la Corvetta ALBATROS la quale girava
intorno a due piccoli Dragamine. La radio finalmente dava segni
di vita,
La Nave
Albatros partita da Taranto per soccorso in mare di due
dragamine che da Messina si trasferivano a Taranto. Durante la
loro navigazione incapparono in una tempesta che lì portò alla
deriva e quindi scattò la richiesta d’aiuto.
L’ALBATROS
arrivata in loro soccorso dopo vari tentativi di rimorchio per
riportare nella giusta rotta i dragamine fu costretta a chiedere
supporto al Comando Navale di Taranto.
Ecco
spiegata la precipitosa uscita in mare del C.T. AVIERE .
Insieme le
due unità riuscirono dopo vari tentativi a lanciare le sagole
con attaccati i cavi per il rimorchio alle due imbarcazioni in
difficoltà.
I cavi
vennero recuperati dai dragamine e si iniziò così la manovra
del rimorchio da parte del C.T. AVIERE.
Diversi
fasci di luce si scambiarono le due unità principali
accompagnati da un urlo liberatorio da tutto il personale delle
quattro unità. “Hurra” “Hurra”.
Imbarcazioni a rimorchio. Missione riuscita.
Buon
rientro alla base Nave ALBATROS.
Così
vedemmo allontanare la Nave ALBATROS con rotta terra.
Ripeto
rotta terra perché le condizioni del mare non ci permettevano di
rimorchiarli verso l’ITALIA ma bensì verso la costa africana.
Tracciata
la rotta, il porto più vicino era quello di Bengasi.
Il mare
ancora ribelle non ci dava tregua.
E, con
brunose, cioccolato, acqua e con a rimorchio i due dragamine ci
dirigevamo verso il porto di Bengasi.
Ancora una
volta la figura paterna del Comandante Brauzzi divenne ancora
più utile distribuendo gallette (brunose finite) a tutto il
personale di bordo.
Finalmente
avvistammo il porto di Bengasi.
All’ordine
del Comandante venne dato fondo all’ancora e, smorzato
l’abbrivio, la nave si fermò. Venne calata la scialuppa con a
bordo il Comandante Vivaldi (credo) la quale si diresse verso
terra. Qualche autorità italiana, credo, lo stesse aspettando
per delle informazioni.
Noi
pensavamo che, malgrado tutto l’accaduto, saremmo andati in
franchigia a togliere un po’ di salsedine e mangiare qualcosa e
………
Tutto
questo venne meno perché al rientro della motobarca per
interfono seguì il seguente messaggio: “ Sganciare e
recuperare i cavi di rimorchio dalle due imbarcazioni, salpare
l’ancora rotta per l’Italia”.
I due
dragamine con i loro motori raggiunsero il porto di Bengasi,
mentre noi riprendevamo la lotta contro le avversità del mare.
In quel
periodo non credo ci fosse tanta amicizia con alcuni stati
africani, comunque con la poppa rivolta al porto di Bengasi e la
prora verso l’Italia, con un mare che finalmente col passare
delle ore si placava, riprendemmo il mare.
Rotta per
l’Italia concludendo la missione.
Arrivati
nel porto di Taranto dopo cinque giorni e quattro notti
trascorsi in mare ci ormeggiammo alla banchina torpediniere.
Dopo il
posto di manovra e la messa in sicurezza delle macchine, si
videro uscire dai boccaporti delle sale macchine quei cadaveri
viventi dei meccanici ma meravigliosi ragazzi dal Direttore di
macchina all’Ultimo meccanico che si sono sacrificati con tante
e tante ore di lavoro senza mai abbandonarlo.
Una
stretta di mano e un grande abbraccio a tutti loro e a tutto
l’equipaggio con particolare riguardo al Comandante BRAUZZI che
ci ha saputo guidare in quella circostanza in aiuto dei nostri
commilitoni in difficoltà.
La nave
aveva subito in quella circostanza delle serie avarie che la
ccostrinsero ad entrare in bacino per grandi lavori.
Non
ricordo altri nomi perché durante i lavori della nave molti
dell’equipaggio sbarcarono per altre destinazioni, mentre io
conclusi il mio imbarco tra nave AVIERE e ARTIGLIERE lasciando
quest’ultima a Trieste il 6 ottobre 1964. |