3.5
I partecipanti |
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La battaglia di
LEPANTO fu affrontata dalle seguenti potenze: |
La potenza occidentale maggiormente coinvolta era la Repubblica
di Venezia che aveva iniziato il conflitto con gli orientali da
sola da quasi due anni. |
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Il
Doge era Loredano, Il comandante della flotta veneta era
l’Ammiraglio Agostino Barbarigo, da non confondere con l’omonimo
Doge. Allo scontro partecipava anche l’Ammiraglio Sebastiano Venier |
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l’Ammiraglio
Sebastiano Venier |
L’Ammiraglio Sebastiano Venier settantacinquenne era la massima
autorità della Marina, oggi diremo il Capo di stato maggiore. In
quel tempo il grado di ammiraglio che è un termine di derivazione
araba “Signore del mare” non esisteva ed era chiamato Capitano
generale, di conseguenza la nave ammiraglia era detta la capitana |
Venezia facendo un
paragone con i tempi moderni era uno stato come Israele, moderno
efficiente con delle forze armate di primissimo ordine con un ottimo
servizio diplomatico e un’altrettanta intelligence. Il punto di
forza veneziano era la Marina, l’Esercito era costituito con truppe
formate in larga parte da mercenari Svizzeri. Venezia era una delle
due grandi potenze navali occidentali insieme alla Spagna. |
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La Repubblica di
Genova
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che possiamo paragonare alla Svizzera di oggi, era una potenza
economica e prestava soldi ai vari sovrani. Il miglior cliente era
il Re di Spagna, dove per dileggiare il governo, malignamente, si
raccontava che l’argento “allora metallo prezioso di riferimento”
nasceva in Perù, moriva a Siviglia e veniva sepolto a Genova nei
forzieri del Banco di San Giorgio. |
D'altronde il Ducato di Milano era un’enclave spagnola in un
territorio controllato dai francesi e si reggeva grazie al supporto
genovese. |
La vita in quel
tempo era identica a quella descritta dal Manzoni nei Promessi
sposi, romanzo che narra fatti avvenuti una sessantina di anni dopo
1620 “guerra di successione per il Monferrato”. I francesi al tempo
del romanzo sconfissero gli Asburgo, in quella occasione
l’Imperatore inviò i Lanzi in Italia. Il comandante della flotta
genovese era Gian Andrea Doria nipote di Andrea Doria |
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GIOVANNI ANDREA DORIA |
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Ammiraglio e Doge di Genova che combatte gli araboislamici. La
Marina Italiana per onorare il grande Ammiraglio Andrea Doria impone
il suo nome a una delle maggiori unità della flotta. Andrea Doria
durante le visite all’estero con la flotta si divertiva così: la
sera prima della partenza sulla sua nave invitava a cena i
governanti e i personaggi importanti locali. Usava dei piatti in oro
massiccio che alla fine della serata faceva gettare in mare tra
l’incredulità e la sorpresa dei presenti. Il Doria si giustificava
ricordando che Genova era sposata con il mare per cui il tesoro
restava a casa. In qualunque porto andasse il mattino seguente
stuoli di sommozzatori scandagliavano il fondale invano. L’astuto
Ammiraglio, infatti, nel pomeriggio stendeva in mare a poppa della
nave una rete non visibile, anche per il buio, e quando gli invitati
lasciavano la nave, faceva ritirare la rete con il prezioso
contenuto da uomini di fiducia.
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LA SPAGNA |
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di Filippo II “detto Re prudente” partecipava con trenta navi al
comando di Alvaro de Bazan di Santa Cruz. Più le navi dei suoi regni
Napoli e Sicilia. Il Comandante in Capo era Don Giovanni d’Austria
figlio naturale del defunto imperatore Carlo V. Alla potenza
maggiore che metteva in campo la forza più consistente, spettava il
comando generale delle forze, quindi sarebbe spettato a Venezia che
pur di avere degli alleati accettò la clausola e rinunciò al comando
generale mentre il Papa voleva affidarlo al suo Comandante ma ebbe
un veto dai genovesi, pur di concludere fu concesso il comando alla
Spagna, che nominò il fratellastro del Re. |
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GIOVANNI D'AUSTRIA |
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Don Giovanni d’Austria era molto giovane appena ventiquattrenne e
che si era distinto in precedenti imprese militari in terra ed anche
in mare contro pirati, fu nominato Comandante Generale. C’è
descritto come di media statura biondo con occhi verdi molto bello.
In quei tempi si stava formando il nuovo concetto militare che
separava i comandanti in mare da quelli terrestri. Secondo le
tradizioni medioevali, ancora in uso, gli uomini d’arme
combattevano, dove era necessario. Presso la sublime porta e nelle
Repubbliche marinare si andava affermando l’idea del Generale che
guida l’Esercito con tattiche terrestri e l’Ammiraglio guida la
flotta con strategie e tecniche che non possono essere uguali. Don
Giovanni se non fosse stato il figlio e il fratellastro di
personaggi importantissimi sarebbe stato un giovane comandante di
unità minore. |
Le potenze minori
che parteciparono allo scontro erano: |
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Lo Stato Pontificio
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Lo
Stato Pontificio
con Comandante Marcantonio Colonna trentottenne che faceva onore al
suo nome era, infatti, un marcantonio che sovrastava in statura gli
altri Comandanti. La Marina Pontificia aveva dodici galere. Colonna
era anche uomo di fiducia di Filippo II perché oltre ad essere
Principe, di Paliano Regno Pontificio era anche Duca di Marsica
“Vice reame di Napoli” e Connestabile di Spagna grado equivalente a
Generale. |
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I Cavalieri di Malta |
che dipendevano dal Papa, ordine militare religioso nato per
difendere e curare i pellegrini a Gerusalemme, con la cacciata dei
cristiani si erano insediati a Rodi da dove tormentavano con le loro
navi il traffico orientale. Essi erano stati scacciati dagli
Ottomani e L’Imperatore Carlo V li aveva ospitati a Malta suo
possedimento. I cavalieri per quel feudo donavano, come da accordi,
il giorno d’ogni Santi un falco maltese all’Imperatore. I cavalieri
di Malta ancora oggi così chiamati con lo stesso fine curare e
difendere……. Continuano la loro opera non più da Malta da dove
furono cacciati da Napoleone nel 1799. |
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Il Gran Ducato di
Toscana
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Non era come Stato riconosciuto dal Re di Spagna che vantava pretese
dinastiche sul Gran Ducato per cui le galere toscane, condotte dai
Cavalieri dell’ordine di Santo Stefano alzavano la bandiera
Pontificia, il Ducato di Savoia, il Ducato di Urbino che schierava
duemila volontari dell’esercito, la Repubblica di Lucca fornì
contingenti per armare le navi genovesi, il Ducato di Parma e
Piacenza, il Ducato di Ferrara, il Ducato di Mantova. L’invito
Papale ad entrare nella coalizione non fu accolto dalla Francia, dal
Sacro Romano Impero, dalla Russia, dal Portogallo e dalla Polonia. |
Dei Comandanti
abbiamo vari ritratti da questi possiamo notare che seguivano la
moda dell’epoca e quasi tutti portavano pizzetto e baffi. La
coalizione decise la suddivisione delle spese così ripartite 1/6
allo Stato Pontificio, 2/6 alla Repubblica di San Marco, 3/6 alla
Spagna. |
Don Giovanni
Comandante in Capo decise che la flotta si sarebbe riunita a Messina
un possedimento imperiale. La partenza di Don Giovanni fu ritardata,
il Papa si adirò e minacciò di scomunica i vari sovrani, le navi
Spagnole in particolare con il Comandante in Capo imbarcato
avrebbero dovuto salpare da Barcellona ma non potevano partire per
mancanza di remi, in Spagna non vi erano alberi adatti “faggi”. I
remi arrivarono finalmente dall’arsenale di Napoli ”faggi della
Sila”. La flotta Pontificia di base a Civitavecchia ricevé la
bandiera di combattimento in San Pietro, color cremisi con un
crocefisso e i Santi Pietro e Paolo. Don Giovanni venne in Italia
fermandosi a la Spezia dove imbarcò truppe austriache “imbarcò anche
Alessandro FARNESE nipote di Don Giovanni più grande dello zio di un
anno, i due erano cresciuti assieme alla corte di Filippo II insieme
a Don Carlos figlio di Filippo” e poi a Napoli dove ricevé la
bandiera di combattimento con la Madonna che fu l’emblema della
flotta. A luglio cominciarono a concentrarsi nel porto di Messina da
dove la flotta salpò il 16 settembre. Intanto a Cipro tutte le
fortezze erano state costrette ad arrendersi si credeva resistesse
solo la città fortezza di Famagosta. Il Sultano aveva ritirato
l’editto che si era trasformato in un boomerang. |
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Sia il Comandante in
Capo occidentale che quello orientale Ali Pascià Muezzinzade “significa il figlio
del muezzidin equivalente a un sacrestano. Si comprende quindi che
diversamente dall’occidente i sudditi del Sultano capaci potevano
accedere a cariche importanti” avevano deciso di schierare le
rispettive flotte con un fronte formato da tre gruppi navali con una
riserva posta alle spalle del gruppo centrale, questa stando alle
tattiche dell’epoca doveva entrare in azione per assestare al nemico
il colpo decisivo. Entrambi non avevano ritenuto opportuno inserire
nella flotta navi a vela, queste erano vere e proprie fortezze
galleggianti con trenta, quaranta, e oltre cannoni. Una formazione
navale si deve muovere all’unisono, nello stesso istante tutte le
navi insieme come mosse da fili invisibili assumono schieramenti
diversi, una formazione in linea si trasforma in fronte. a
mantenere in formazione un così gran numero di navi. |
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Il sultano, ricevute
le dichiarazioni di guerra, inviò un cofanetto di velluto con gli
ordini laconici per Ali Pascià Comandante della flotta “ distrugga
la flotta cristiana “, a breve Ali Pascià ricevé un altro cofanetto
in argento contenente la bandiera di combattimento, un grande
rettangolo di seta bianca sul quale le vergini mussulmane avevano
ricamato in oro zecchino migliaia di volte le prime parole del
corano. La bandiera proveniva dalla Mecca in Arabia Saudita. La
Mecca è la città santa dell’Islam, dove non è consentito l’accesso
agli infedeli. Alla Mecca è custodita la pietra nera, un meteorite
di forma cubica che secondo la tradizione islamica è un dono di Dio
portato in terra Personalmente dall’Arcangelo Gabriele. I mussulmani
almeno una volta nella vita devono andare alla Mecca in
pellegrinaggio e girare intorno alla pietra. |
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Ali
Pascià convocò un consiglio di guerra, ne facevano parte oltre ad
Ali Pascià Ali Mehmet Shoraq detto dai nostri marinai scirocco,
Dragut figlio del famigerato pirata caduto nell’assedio di Malta
dove diecimila tra cavalieri e maltesi erano riusciti a tenere
l’isola attaccata da quarantamila islamici. Uluc Ali detto uccialli
ed anche occhiali, era un italiano Giovanni Dionigi Galeni della
provincia di Reggio Calabria ”, si ritiene di Le Castella” catturato
in mare da giovane capo barca, secondo altri sembra fosse un frate,
intelligente ed eccellente marinaio, |
era diventato
il migliore degli ammiragli orientali. Mentre gli altri ammiragli
avevano difficoltà a realizzare un’operazione navale pianificata in
precedenza, Uluc Alì sapeva cogliere all’istante gli errori degli
altri o le mutate circostanze e cambiava i piani operativi a suo
favore. Nel Consiglio Ali Pascià fece presente le difficoltà della
flotta che era in mare da mesi, la stanchezza del personale, i legni
logorati, la presenza di una flotta nemica numerosa, forse superiore
in numero, con navi più alte di bordo e tecnologicamente più
avanzate e nuove con una fanteria a bordo dotata di un
equipaggiamento superiore. Gli occidentali avevano gli archibugi,
gli orientali archi e frecce, gli alleati portavano la corazza e
l’elmo mentre gli orientali, un giubbetto in cuoio. Uluc Alì e Ali
Pascià ebbero un’accanita discussione, il primo proponeva di restare
in rada a Lepanto sotto la protezione dei cannoni della fortezza che
conferivano un enorme vantaggio in caso di attacco. Ali Pascià
comandò che si realizzasse l’ordine del Sultano, sarebbero usciti in
battaglia. La pianificazione dello scontro fu affidata a Uluc Ali e
doveva tener conto della quasi certa inferiorità numerica della loro
flotta. A Dragut il compito di indagare e riferire sulla consistenza
della flotta occidentale. |
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In Sicilia, i
mussulmani rimasti dopo la riconquista occidentale, erano stati
forzatamente convertiti al cristianesimo e non aspettavano altro che
lo sbarco degli orientali per ritornare apertamente alla loro fede.
Il tempo necessario per coprire la distanza tra la Sicilia e Tunisi
a remi era di un sol giorno di navigazione; non dobbiamo
meravigliarci quindi se in Sicilia erano presenti diverse fonti
informative molto attive a favore di Tunisi. |
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Una nave da guerra
tunisina con bordo un Comandante dell’intelligence che parlava
correntemente l’italiano o meglio il siciliano, incontrò a metà
percorso nello stretto di Sicilia un peschereccio dell’isola. Al
Comandante tunisino furono forniti dai pescatori abiti occidentali e
questo imbarcò sul peschereccio che fece rotta per Messina. Iniziò
cosi un’operazione d’intelligence che forni agli orientali l’esatta
consistenza delle forze occidentali. L’esperto Comandante era in
grado di apprezzare anche le capacità degli equipaggi e gli
armamenti delle navi. Secondo un’altra versione l’audace comandante
tunisino s’infilò di notte nel porto di Messina con una barca nera e
vele nere e portò felicemente a termine l’operazione. |
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Da Venezia erano in
navigazione per Messina gli ultimi rinforzi consistenti in sei
galeazze scortate da dodici galere e un paio di brigantini che
assicuravano collegamenti veloci ed esplorazioni/ricognizioni. Nel
mezzo dell’Adriatico incapparono in una sciroccata e le galeazze con
l’opera morta molto alta e le torri a prora esponevano superfici
molto ampie all’azione del vento. Le superfici esposte al vento si
comportavano come delle vele e le navi erano spinte all’indietro e
nonostante lo sforzo dei vogatori arrancavano. La nuova stagione
stava arrivando e il tempo atmosferico non era più favorevole alla
navigazione. L’ammiraglio comandante del gruppo navale inviò un
brigantino a Messina per informare Don Giovanni dello stallo. Quando
il brigantino giunse a Messina il 16 settembre Don Giovanni tenne
consiglio di guerra. Nel consiglio si decise di salpare per la
Grecia facendo rotta per i possedimenti veneziani dello Jonio e
attendere lì i rinforzi, così facendo, si risparmiava alle pesanti
galeazze il doppio tragitto canale d’Otranto Messina. La notizia
doveva e rimase segreta, giunsero in Grecia solo il 4 ottobre. Il
brigantino ritornò indietro con gli ordini nuovi per i rinforzi che
scendevano dall’Adriatico. Le galeazze erano l’arma segreta di
Venezia e siccome l’intelligence orientale non seguì i movimenti
della flotta occidentale. |
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3.6 La
fine del Bragadin |
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Gli Ottomani
nonostante l’eccellente servizio messo in atto sino a quel momento
non furono informati della presenza delle galeazze. Durante la
navigazione gli occidentali, in acque veneziane, catturarono una
piccola nave avversaria, forse una fusta o una pinaccia “ costruita
interamente con legno di pino” e seppero da un veneziano costretto
al remo come schiavo della caduta di Famagosta, la fortezza era
difesa da 7000 uomini fu costrtta ad arrendersi per aver esaurito le
munizioni dopo una stregua resistenza con la guarnigione ridotta a
700 difensori avvenuta il primo
agosto e della triste sorte toccata a Marcantonio Bragadin.
Il Bragadin era senatore veneziano Comandante militare della
piazzaforte. Il Governatore Astore Baglioni morì per motivi naturali
il Bragadin avocò a se anche questa carica. Il Bragadin e il
comandante ottomano Mustafa Lala Pascià firmarono un trattato di
resa. Tra i due scoppiarono subito una serie d’incomprensioni sulle
clausole del trattato, dopo diversi e accesi scontri verbali, il
comandante mussulmano acceso dall’ira stracciò il trattato e fece scuoiare vivo il Bragadin
appendendolo morente a testa in giù, non contento, ordinò che la
pelle fosse trattata per non corrompersi e impagliata e posta su
dorso d’asino montato a rovescio fu portata in giro per la città.
L’aguzzino non pago mise a sacco la città e fece legare in testa
d’albero sulla sua galera il macabro trofeo e si recò trionfante a
Istanbul, incappando nelle ire del Sultano. A pace fatta alcuni
commercianti veneti trafugarono la pelle e la portarono a Venezia,
dove si trova tuttora, nella Chiesa dei Santi Giovanni e Paolo ed è
venerata dai Veneziani come una reliquia. |
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3.7
L'incidente Igomeniza |
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Le navi
occidentali giunte nell’arcipelago greco sostarono in varie isole
tra cui Cefalonia ed anche Zante l’isola, dove nacque Foscolo che vi
dedicò la poesia a Zacinto. A Igomeniza scoppiò un incidente che
poteva far saltare nuovamente la coalizione. A Messina Don Giovanni
aveva mescolato all’interno dei tre gruppi del fronte navi di varie
nazionalità e resosi conto che le navi venete avevano pochi soldati
invio milizie spagnole e pontificie. Un capitano dell’esercito
spagnolo uccise un marinaio veneziano, intervenne il Capo cannoniere
polizia di bordo con due sottordini furono uccisi dallo spagnolo
aiutato da due suoi soldati. L’ammiraglio Venier ordinò l’immediata
impiccagione degli Spagnoli. Don Giovanni informato si adirò, gli
spagnoli dovevano essere giudicati dai connazionali. Le unità
spagnole puntarono I cannoni su quelle venete e viceversa.
Intervenne Marcantonio Colonna che riuscì a calmare gli animi, alla
fine Don Giovanni non volle ammettere alla sua presenza il Venier.
Si stava per ripetere l’episodio di Candia. |
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L’arsenale di Venezia aveva trasformato secondo il progetto di
Francesco Duodo “ possiamo paragonarlo come carica Provveditore
dell’arsenale al Direttore dell’arsenale, l‘inventore Veneto
collaborava in stretto contatto con l’Ammiraglio Venier a studi
migliorativi per la Marina “ delle navi da carico a remi in navi da
guerra a prora era stata costruita una torre dove furono sistemati
alcuni cannoni, altri cannoni furono sistemati sulle fiancate e a
poppa, sul ponte di coperta a destra e sinistra vi erano degli
archibugieri. I Veneziani avevano trasferito l’artiglieria presente
su di una nave a vela con quaranta cannoni su una nave a remi in
grado di manovrare con le altre unità della squadra. Altro
rinnovamento tecnologico alcuni cannoni corsieri sparavano delle
semisfere incatenate tra loro. Il proiettile all’uscita della bocca
del cannone si trasformava in una micidiale catena rotante intorno
alle due masse esterne, un’invenzione non conosciuta dai nemici e in
grado di disalberare una nave avversaria. Per la prima volta i
cannoni venivano messi fuori bordo mediante l’apertura di
portelloni. |
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3.8 organizzazione
Ottomana |
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In
campo avverso in contemporanea avvenivano questi fatti, il Sultano
convocò il suo consiglio di guerra, che era composto dallo stesso
Sultano, dal Gran Visir e dall’ammiraglio Ali Pascià
Comandante della Flotta. Ali Pascià rappresentò le difficoltà della
Marina che avrebbe affrontato il nemico in inferiorità numerica ed
espose il piano di battaglia preparato da Uluc Ali. La flotta di
base a Lepanto sarebbe uscita in mare con il favore del vento.
Termine marinaro che significa nello specifico avere il vento in
poppa le navi potevano manovrare a una velocità maggiore somma della
spinta del vento e quella dei remi. La squadra navale che si trovava
in favore di vento poteva imporre la propria strategia, un grosso
vantaggio che assicurava al novanta per cento la vittoria. Le navi
avrebbero assunto la formazione con un fronte in tre gruppi con una
riserva alle spalle del gruppo centrale. Avvistato il nemico, la
flotta a un segnale innalzato sulla nave di Ali Pascià avrebbe
assunto la formazione di mezza luna rovesciata, da questa posizione,
quando prossimi al contatto con le unità occidentali su segnale dei
due Comandati Mehmet Shoraq e Uluc Ali le ali esterne “dette corni”
si sarebbero spinte alla massima velocità trasformando la formazione
in una gigantesca U poggiata su lato che si sarebbe trasformata in
una o con la flotta occidentale circondata. Il combattimento si
sarebbe svolto solo sulla periferia e il numero maggiore delle navi
avversarie diveniva ininfluente la maggior parte delle navi nemiche
erano con questo piano poste fuori gioco. Il piano si basava sulla
mobilità velocità e tempistica con complesse manovre delle navi. Era
per gli orientali fondamentale raggiungere il nemico entro le sette
o le otto del mattino in modo da circondare entro le dieci la flotta
occidentale, ora in cui il vento iniziava e inizia a calare per
cessare del tutto alle dodici ora in cui inizia a spirare in senso
contrario, significando che le navi occidentali si sarebbero trovate
in favore del vento. La suddetta manovra era nota ai tretrarchi
ateniesi che la insegnavano insieme ad altre ai loro ufficiali e la
chiamavano periplo. |
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Il sultano cercò di porre rimedio alle carenze tecnologiche
lamentate facendo imbarcare un piccolo contingente di sphai
(cavalleria armata con archi) e di giannizzeri per ogni unità, in
pratica metteva in gioco quanto di meglio disponesse, questi erano
l’élite dell’esercito. Gli sphai erano cavalieri che agivano secondo
le regole della cavalleria medioevale, erano assegnatari di
concessioni territoriali del sultano che consentivano loro di
mantenersi armi e cavalcature. I giannizzeri erano la guardia del
Sultano armati fino ai denti. I giannizzeri provenivano dalle
province di recente conquista con famiglie cristiane. Veniva
stabilito che per ogni tre/quattro famiglie cristiane un bimbo tra i
cinque e gli otto anni fosse arruolato. I bimbi frequentavano una
scuola coranica dove erano convertiti, imparavano a memoria il
Corano ma era loro impartita un’istruzione elementare che essendo
costosa avevano in pochi. Alla fine del corso di studi erano avviati
nell’esercito, dove tra corsi e attività pratica qualcuno diveniva
ufficiale fino al grado di generale. I giannizzeri erano congedati a
circa trentadue/ trentatré anni conservavano le armi e costituivano
da quel momento una milizia ausiliaria, era assegnato loro un
terreno in zona di recente conquista e da civili potevano contrarre
matrimonio. |
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3.9
Organizzazione Occidentale |
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Ritornando agli occidentali, ai marinai destarono meraviglia le
galeazze, gli Ammiragli e i Comandanti stimarono che una di queste
potesse tenere testa a dieci galere. Don Giovanni, come gli
orientali, aveva deciso di schierarsi con un fronte in tre gruppi
fra loro separati, il gruppo centrale al comando dello stesso Don
Giovanni che quindi avrà in battaglia di fronte il gruppo di Ali
Pascià, alla sinistra di Don Giovanni viene schierato Barbarigo che
si troverà opposto a Mehmet Ali, Alla destra di Don Giovanni fu
schierato Gian Andrea Doria che avrà di fronte nello scontro Uluc
Ali. La riserva alle spalle di Don Giovanni fu posta al comando di
Alvaro De Balzan. La riserva ottomana era comandata da Dragut. Tra i
comandanti della battaglia di Lepanto il compito più complesso era
quello di Mehmet Ali che con la sua formazione avrebbe dovuto
aggirare quella del Barbarigo navigando in infide acque piene di
scogli affioranti. Oggi quel tratto di mare è totalmente cambiato la
terra è avanzata di alcuni chilometri e isolette e scogli affioranti
non esistono più |
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Don Giovanni schierò
le galeazze a coppie, ponendole a circa un miglio davanti ad ogni
gruppo navale. La strategia era di creare da subito scompiglio nelle
forze nemiche e alterarne i piani. |
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Don Giovanni
aveva avuto una bella idea, la flotta disponeva di brigantini e
cutter, piccole unità a vela dotate anche di remi ausiliari. Queste
unità in eccesso rispetto alle esigenze furono raggruppate con
barche grandi dotate di vele. Su queste imbarcarono una/due dozzine
di soldati secondo la grandezza delle barche. Queste piccole unità
si dimostrarono preziose nell’evitare la cattura alle galee
portando, quando richiesto, soccorso alle navi in difficoltà.
L’idea si dimostrò vincente. Lo scontro vedeva contrapposti da una
parte Italiani e Spagnoli dall’altra Greci che costituivano 80%
degli equipaggi Ottomani. |
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