Cosa
videro i “Maryland” della RAF il giorno
di San Martino
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a Mar Grande e a Mar Piccolo. |
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A
questo punto, diamo anche noi uno sguardo aereo alla
base navale di Taranto cercando di ricostruire, sulla
consueta immaginaria moviola, quello che vide uno degli
ultimi ricognitori inglesi.
Nella rada di Mar Grande sono ormeggiate alle boe: la
nave da battaglia Littorio e Vittorio Veneto; le corazzate
Cavour, Giulio Cesare, Caio Duilio, e Andrea Doria;
gli incrociatori Zara, Fiume e Gorizia; i cc.tt Folgore,
Baleno, Fulmine, Lampo, Alfieri, Gioberti, Carducci
e Oriani.
In quella di Mar Piccolo sono alle boe: gli incrociatori
Trieste e Bolzano, i cc.tt Granatiere, Alpino, Bersagliere
e Fuciliere; sono ormeggiati di poppa alla banchina:
gli incrociatori Pola, Trento, Garibaldi e Abruzzi;
i cc.tt. Freccia, Strale, Dardo, Saetta, Maestrale,
Libeccio, Grecale, Scirocco, Camicia Nera, Geniere,
Lanciere, Carabiniere, Corazziere, Ascari, Da Recco,
Lisodimare e Pessagno.
Sono alla banchina anche cinque torpediniere, sedici
sommergibili, quattro dragamine, un posamine, nove cisterne,
navi appoggio e navi ospedale, oltre a rimorchiatori
e mercantili. |
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Un complesso navale non indifferente che, ancora una
volta, venne, lo stesso 10 novembre, rifotografato dall’ormai
consuetudinario “Maryland”. Giunte immediatamente
a bordo della Illustrious in navigazione nello Jonio,
le foto furono riesaminate attentamente dai Cap. di
Corv. K. W. Williamson e J. W. Hale, rispettivamente
comandante della prima e della seconda ondata programmata.
<< Erano eccellenti fotografie – scrive
Schofield – riprese in una giornata da un’altezza
di soli 2400 m. e si potevano vedere distintamente cinque
corazzate italiane, come pure gli indesiderabili cerchietti
bianchi dello sbarramento dei palloni >>.
Non ci soffermeremo sulle caratteristiche naturali del
porto che, per secoli, ha rappresentato il rifugio sicuro
delle navi, ma su quanto posto in essere dalla Marina
italiana, con la evoluzione della macchina bellica,
per mantenere questa qualità particolare. Per la difesa a.a. erano state istallate 21 batterie
di cannoni da 102 mm. Dei quali 13 a terra e 8 su pontoni
galleggianti. |
Fotografie
aeree della Flotta italiana alla fonda il 28 |
settembre
1940 |
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Vi erano, altresì, 84 mitragliere pesanti e 120 leggere
che coprivano tutta l’area del porto. Completavano
questo sistema di difesa attiva
22 fotoelettriche delle quali, però, solo due
collegate con gli avamposti aerofonici d’ascolto.
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Tredici di esse, infine, erano istallate nella zona di
campagna circostante il porto.
La difesa passiva, a sua volta, era costituita da un
sistema basato su 90 palloni aerostatici, dei quali
10 erano ormeggiati a zattere a occidente della diga
della Tarantola e altri verso Nord Est da quella di
S. Vito. Altri ancora erano ancorati a terra, dalla
estremità della Tarantola verso Nord Est e gli
ultimi sette su zattere nella parte settentrionale di
Mar Grande; completavano il sistema alcuni apparati
fumogeni e reti parasiluri, necessarie per proteggere
le navi alla fonda. Anche sul sistema delle ostruzioni retali sono state fatte diverse ilazioni a proposito
dei criteri di sistemazione e della loro capacità
di garantire una protezione sicura. Va detto a tal proposito
che, a seguito dello studio delle manovre e alle esperienze
maturate durante attacchi aerosiluranti inglesi a navi
ancorate nella rada di Augusta o di Tobruk o in porti
tedeschi, Supermarina aveva, nel luglio, modificato
le disposizioni difensive delle navi. |
Ciascuna di esse doveva essere – riporta il Pernotti
– ormeggiata con boe di prua e di poppa e circondata
da reti, le quali << dovevano scendere fino alla
necessaria profondità a cui potevano essere regolati
i siluri >>. Cioè, reti di 10 m. di altezza
e non di 8 come precedentemente stabilito, che furono
immediatamente commissionate all’industria nazionale.
Ai
primi di novembre ne erano giunte a Taranto solo 2900
metri e, quindi, insufficienti per l’attuazione
dell’intero piano difensivo, che ne prevedeva
12800.
Sul modo di sistemare i tratti di rete vi furono, comunque,
<< divergenze di opinioni >> fra il Comando
superiore delle FF.NN. e il Comando del Dipartimento
marittimo: da una parte, << il primo si preoccupava
essenzialmente della libertà di manovra d’uscita>>
delle unità e l’altro si dava pensiero della
<< sicurezza delle navi in porto >>. E ambedue
oppurtunatamente. Mentre l’Amm. Antonio Pasetti,
comandante di Maridipart, cercava di conciliare il concetto
strategico della << flotta in potenza >>
con quello della sicurezza durante la permanenza nelle
acque della base, per il Comandante della Squadra navale,
Amm. Inigo Campioni, le navi in porto erano delle <<
papere immobili >>. Se un attacco aerosilurante
era compito abbastanza difficile in mare aperto e di
giorno, non altrettanto lo era in porto, anche se questo
fosse ben difeso e in condizioni di oscurità.
In caso di allarme, prive della loro mobilità
immediata, le navi non avrebbero avuto il margine di
tempo necessario dall’allarme per riprendere il
mare aperto, essendo vincolate alle manovre della apertura
delle reti. Soprattutto nelle notti di plenilunio e
con la Mediterranean Fleet in navigazione con due portaerei. |
I pericoli di un attacco silurante alle unità
alla fonda o di un bombardamento, erano, quindi, meno
ipotetici e più gravi di quanto si potesse prevedere.
Tanto più che, con l’apertura del fronte
greco-albanese,le basi della RAF avevano ridotto, con
la loro localizzazione sul suolo greco, le distanze,
rientrando nei limiti della autonomia di volo degli
aeromobili.
Anche l’Esercito, che era responsabile delle batterie
antiaeree, aveva le proprie perplessità, tanto
da suggerire il trasferimento della flotta a Napoli.
Nel suo “ diario “, il giorno dopo l’azione,
Ciano, nell’affermare che Badoglio, nell’utima
visita a Mussolini prima dell’attacco alla Grecia,
avrebbe detto doversi spostare la flotta, non più
sicura a Taranto, si chiede << perché non
si è fatto ciò, dopo 15 giorni dall’inizio
delle operazioni, in fase di plenilunio? >>.
Per quante ricerche siano state eseguite negli archivi
storici o su altre fonti, l’unica risposta concreta
rimane, ancora oggi, quella data dal Bertinotti: <<
Non risulta che un ordine del genere fosse stato
impartito o suggerito dal Comando superiore >>. E
non senza un giusto motivo. L’Amm. Campioni sarebbe
stato, qualora impartito o suggerito, costretto a
rinunciare ai vantaggi strategici derivanti dalla
posizione della base che – al dire di Schofield – gli poteva
dare << la possibilità di tagliare i rifornimenti
con i quali, nonostante i suoi sforzi, gli inglesi riuscivano
a tenere Malta in efficienza >>. |
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Fotografia aerea del porto con il canale e le navi
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ormeggiate di poppa in Mar Piccolo |
Il problema di un probabile attacco aerosilurante comunque,
non era stato eluso dallo S.M. della Marina italiana
che, come abbiamo innanzi detto, aveva preso le precauzioni
del caso. E, da’altro canto, le continue ricognizioni
aeree non lasciavano dubbi di sorta. Al calare delle
prime tenebre, le navi assumevano, quindi, un assetto
di approntamento con metà del personale agli
armamenti principali e i cannoni a.a. col personale
al completo. Nell’eventualità di un allarme,
tutti gli uomini di guardia dovevano raggiungere i posti
di combattimento e i << franchi >> portarsi
sotto coperta.
Senza dubbio, tenendo presdente l’autonomia di
un aerosilurante dell’epoca, tutto poteva far
ritenere improbabile un attacco del genere, ciò
non di meno non fu sottovalutata la capacità
offensiva delle navi portaerei, se è pur vero
che la stessa dislocazione delle unità alla fonda
era stata studiata in modo da garantire la migliore
protezione, non esclusa la immediata uscita in mare
aperto. Ed è quanto paventavano gli stessi inglesi.
<< Il timore che le navi italiane potessero uscire
in mare prima che avesse luogo l’attacco aereo,
si alleviò quando, nel tardo pomeriggio, un velivolo
“Sunderland” in esplorazione, che vigilava
per controllare questa possibilità, non solo
riferì che tutte le navi erano presenti e che
non appariva alcun segno di una imminente partenza,
ma che anche una sesta corazzata si era aggiunta alle
altre cinque >>. Fu, altresì, rilevato
che i famosi “ cerchietti “ si erano ridotti:
ne mancavano 63. Nella notte dal 10 all’11, infatti,
un colpo di vento aveva strappato i palloni e ne erano
rimasti solo 27.
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Tutta
la Marina inglese in navigazione:
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è scattato il piano “ MB 8 “
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Va
detto, a proposito del timore degli inglesi, che la
Squadra, secondo gli ordini di Supermarina dell’8
novembre, era pronta a muovere << … risultando
in mare, da almeno 24 ore, la forza navale di Alessandria
ed essendo uscite ieri sera da Gibilterra, con rotta
levante, la corazzata Barham, la n.p.a. Ark Royal, con
tre incrociatori e undici cc.tt. >>.
Tutta la Marina inglese era, in realtà, dal 6
novembre in movimento: da Alessandria , agli ordini
di Cunningham, era partita la Mediterranean Fleet, composta
da quattro corazzate ( Warspite, Valiant, Malaya e Ramillies
), dalla n.p.a. Illustrious, da incrociatori e da cc.tt.;
da Gibilterra, il giorno successivo, aveva salpato le
ancore, a sua volta, la Forza H, costituita dalla corazzata
Barham, dalla n.p.a. Ark Royal, da tre incrociatori
e da undici cc.tt.
Era, praticamente, in atto la “ Operazione MB
8 “, che impegnava sei forze navali composte da
cinque corazzate, due portaerei, dieci incrociatori,
trenta cc.tt. e tre dragamine con obbiettivi diversi.
Oltre All’attacco a Taranto, l’operazione
prevedeva la scorta di quattro convogli, dei quali:
l’MW 3 di cinque navi mercantili da Alessandria
a Malta (allo stesso furono aggiunte tre navi cariche
di munizioni e cannoni per las base di Suda); l’AN
6 di tre navi, che trasportavano benzina e nafta dall’Egitto
alla Grecia; l’ME 3 di quattro navi che tornavano
vuote da Malta ad Alessandria , e un quarto dalla Grecia
e dalla Turchia.
Nel grafico n. 1 è indicata la rotta seguita
sia dai convogli, sia dalle forze navali, che navigavano
a nord della prima << in posizione favorevole
per poter intercettare eventuali navi da guerra italiane
che avessero tentato di attaccare il convoglio MW 3
>>. Quest’ultimo fu, infatti, scoperto a
metà percorso tra Creta e Malta, alle 12.30 del
giorno 8, dalla ricognizione aerea italiana che si vide
costretta, dall’azione dei caccia della Illustrious,
ad abbandonare il campo. Un successivo aereo comparve
nel cielo della Mediterranean Fleet alle 15.20 e, ancora
una volta, fu allontanato. Un’ora dopo sette bombardieri
“ S 79 “ attaccarono, senza successo, la
formazione inglese e, nello scontro con i “Fulmar
“, due vennero abbattuti.
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Cunningham era, intanto, arrivato a 180 miglia dalla
Sicilia e, navigando a sud-est di Malta, si accingeva
ad andare all’appuntamento con la Forza H mentre,
alle ore 9 del giorno 9, la corazzata Ramilles e tre
incrociatori facevano, con il convoglio, rotta su Malta.
Nella tarda mattina e nel pomeriggio riapparve nel cielo
l’aviazione italiana e, alle ore 16.04, fu abbattuto
un “ Cant 506 “. Nello stesso tempo i velivoli
della n.p.a. della Ark Royal bombardavano l’aeroporto
di Elmas in Sardegna mentre aerei nazionali attaccavano
la corazzata Barham.
Il mattino seguente (10 novembre), alle ore 8.15, Pantelleria
avvistò sei navi che avevano passato il Canale
di Sicilia e che dirigevano per Malta. Erano, appunto,
la Barham, gli incrociatori Berwck e Glasgow, con tre cc.tt.. Mentre la prima si recava al “rendez vius
“ con la Mediterranean Fleet, gli altri due raggiunsero
Malta per sbarcare le truppe trasportate. Il resto della
Forza H aveva ripreso la via del ritorno in Inghilterra.
A mezzogiorno, Cunningham era a circa 40 miglia a ponente
di Malta con una corazzata in più ( in totale
5 e tutte armate di cannoni da 381 mm), altri tre incrociatori
e tre cc.tt.. Contemporaneamente dall’isola erano
partiti il convoglio diretto a Suda, che comprendeva
il monitore Terror ( anch’esso armato da due cannoni
da 381 e da artiglierie di medio calibro) assegnato
alla difesa di quella base, e il convoglio ME 3 che,
scortato dalla corazzata , dall’incrociatore
contraereo Coventry e da due cc.tt., faceva rotta alla
volta di Alessandria.
Alle ore 13.30 dieci bombardieri italiani presero contatto
con la formazione inglese e l’attaccarono in due
ondate, ma senza eccessivi danni.
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