La notte di Taranto
(11 novembre 1940)
 

Cosa videro i “Maryland” della RAF il giorno di San Martino

  a Mar Grande e a Mar Piccolo.

A questo punto, diamo anche noi uno sguardo aereo alla base navale di Taranto cercando di ricostruire, sulla consueta immaginaria moviola, quello che vide uno degli ultimi ricognitori inglesi.
Nella rada di Mar Grande sono ormeggiate alle boe: la nave da battaglia Littorio e Vittorio Veneto; le corazzate Cavour, Giulio Cesare, Caio Duilio, e Andrea Doria; gli incrociatori Zara, Fiume e Gorizia; i cc.tt Folgore, Baleno, Fulmine, Lampo, Alfieri, Gioberti, Carducci e Oriani.
In quella di Mar Piccolo sono alle boe: gli incrociatori Trieste e Bolzano, i cc.tt Granatiere, Alpino, Bersagliere e Fuciliere; sono ormeggiati di poppa alla banchina: gli incrociatori Pola, Trento, Garibaldi e Abruzzi; i cc.tt. Freccia, Strale, Dardo, Saetta, Maestrale, Libeccio, Grecale, Scirocco, Camicia Nera, Geniere, Lanciere, Carabiniere, Corazziere, Ascari, Da Recco, Lisodimare e Pessagno.
Sono alla banchina anche cinque torpediniere, sedici sommergibili, quattro dragamine, un posamine, nove cisterne, navi appoggio e navi ospedale, oltre a rimorchiatori e mercantili.

Un complesso navale non indifferente che, ancora una volta, venne, lo stesso 10 novembre, rifotografato dall’ormai consuetudinario “Maryland”. Giunte immediatamente a bordo della Illustrious in navigazione nello Jonio, le foto furono riesaminate attentamente dai Cap. di Corv. K. W. Williamson e J. W. Hale, rispettivamente comandante della prima e della seconda ondata programmata. << Erano eccellenti fotografie – scrive Schofield – riprese in una giornata da un’altezza di soli 2400 m. e si potevano vedere distintamente cinque corazzate italiane, come pure gli indesiderabili cerchietti bianchi dello sbarramento dei palloni >>. Non ci soffermeremo sulle caratteristiche naturali del porto che, per secoli, ha rappresentato il rifugio sicuro delle navi, ma su quanto posto in essere dalla Marina italiana, con la evoluzione della macchina bellica, per mantenere questa qualità particolare. Per la difesa a.a. erano state istallate 21 batterie di cannoni da 102 mm. Dei quali 13 a terra e 8 su pontoni galleggianti.

Fotografie aeree della Flotta italiana alla fonda il 28
settembre 1940
Vi erano, altresì, 84 mitragliere pesanti e 120 leggere che coprivano tutta l’area del porto. Completavano questo sistema di difesa attiva 22 fotoelettriche delle quali, però, solo due collegate con gli avamposti aerofonici d’ascolto.
Tredici di esse, infine, erano istallate nella zona di campagna circostante il porto.
La difesa passiva, a sua volta, era costituita da un sistema basato su 90 palloni aerostatici, dei quali 10 erano ormeggiati a zattere a occidente della diga della Tarantola e altri verso Nord Est da quella di S. Vito. Altri ancora erano ancorati a terra, dalla estremità della Tarantola verso Nord Est e gli ultimi sette su zattere nella parte settentrionale di Mar Grande; completavano il sistema alcuni apparati fumogeni e reti parasiluri, necessarie per proteggere le navi alla fonda. Anche sul sistema delle ostruzioni retali sono state fatte diverse ilazioni a proposito dei criteri di sistemazione e della loro capacità di garantire una protezione sicura. Va detto a tal proposito che, a seguito dello studio delle manovre e alle esperienze maturate durante attacchi aerosiluranti inglesi a navi ancorate nella rada di Augusta o di Tobruk o in porti tedeschi, Supermarina aveva, nel luglio, modificato le disposizioni difensive delle navi.
Ciascuna di esse doveva essere – riporta il Pernotti – ormeggiata con boe di prua e di poppa e circondata da reti, le quali << dovevano scendere fino alla necessaria profondità a cui potevano essere regolati i siluri >>. Cioè, reti di 10 m. di altezza e non di 8 come precedentemente stabilito, che furono immediatamente commissionate all’industria nazionale.
Ai primi di novembre ne erano giunte a Taranto solo 2900 metri e, quindi, insufficienti per l’attuazione dell’intero piano difensivo, che ne prevedeva 12800.
Sul modo di sistemare i tratti di rete vi furono, comunque, << divergenze di opinioni >> fra il Comando superiore delle FF.NN. e il Comando del Dipartimento marittimo: da una parte, << il primo si preoccupava essenzialmente della libertà di manovra d’uscita>> delle unità e l’altro si dava pensiero della << sicurezza delle navi in porto >>. E ambedue oppurtunatamente. Mentre l’Amm. Antonio Pasetti, comandante di Maridipart, cercava di conciliare il concetto strategico della << flotta in potenza >> con quello della sicurezza durante la permanenza nelle acque della base, per il Comandante della Squadra navale, Amm. Inigo Campioni, le navi in porto erano delle << papere immobili >>. Se un attacco aerosilurante era compito abbastanza difficile in mare aperto e di giorno, non altrettanto lo era in porto, anche se questo fosse ben difeso e in condizioni di oscurità. In caso di allarme, prive della loro mobilità immediata, le navi non avrebbero avuto il margine di tempo necessario dall’allarme per riprendere il mare aperto, essendo vincolate alle manovre della apertura delle reti. Soprattutto nelle notti di plenilunio e con la Mediterranean Fleet in navigazione con due portaerei.

I pericoli di un attacco silurante alle unità alla fonda o di un bombardamento, erano, quindi, meno ipotetici e più gravi di quanto si potesse prevedere. Tanto più che, con l’apertura del fronte greco-albanese,le basi della RAF avevano ridotto, con la loro localizzazione sul suolo greco, le distanze, rientrando nei limiti della autonomia di volo degli aeromobili.
Anche l’Esercito, che era responsabile delle batterie antiaeree, aveva le proprie perplessità, tanto da suggerire il trasferimento della flotta a Napoli.
Nel suo “ diario “, il giorno dopo l’azione, Ciano, nell’affermare che Badoglio, nell’utima visita a Mussolini prima dell’attacco alla Grecia, avrebbe detto doversi spostare la flotta, non più sicura a Taranto, si chiede << perché non si è fatto ciò, dopo 15 giorni dall’inizio delle operazioni, in fase di plenilunio? >>. Per quante ricerche siano state eseguite negli archivi storici o su altre fonti, l’unica risposta concreta rimane, ancora oggi, quella data dal Bertinotti: << Non risulta che un ordine del genere fosse stato impartito o suggerito dal Comando superiore >>. E non senza un giusto motivo. L’Amm. Campioni sarebbe stato, qualora impartito o suggerito, costretto a rinunciare ai vantaggi strategici derivanti dalla posizione della base che – al dire di Schofield – gli poteva dare << la possibilità di tagliare i rifornimenti con i quali, nonostante i suoi sforzi, gli inglesi riuscivano a tenere Malta in efficienza >>.

Fotografia aerea del porto con il canale e le navi
ormeggiate di poppa in Mar Piccolo
Il problema di un probabile attacco aerosilurante comunque, non era stato eluso dallo S.M. della Marina italiana che, come abbiamo innanzi detto, aveva preso le precauzioni del caso. E, da’altro canto, le continue ricognizioni aeree non lasciavano dubbi di sorta. Al calare delle prime tenebre, le navi assumevano, quindi, un assetto di approntamento con metà del personale agli armamenti principali e i cannoni a.a. col personale al completo. Nell’eventualità di un allarme, tutti gli uomini di guardia dovevano raggiungere i posti di combattimento e i << franchi >> portarsi sotto coperta.
Senza dubbio, tenendo presdente l’autonomia di un aerosilurante dell’epoca, tutto poteva far ritenere improbabile un attacco del genere, ciò non di meno non fu sottovalutata la capacità offensiva delle navi portaerei, se è pur vero che la stessa dislocazione delle unità alla fonda era stata studiata in modo da garantire la migliore protezione, non esclusa la immediata uscita in mare aperto. Ed è quanto paventavano gli stessi inglesi.
<< Il timore che le navi italiane potessero uscire in mare prima che avesse luogo l’attacco aereo, si alleviò quando, nel tardo pomeriggio, un velivolo “Sunderland” in esplorazione, che vigilava per controllare questa possibilità, non solo riferì che tutte le navi erano presenti e che non appariva alcun segno di una imminente partenza, ma che anche una sesta corazzata si era aggiunta alle altre cinque >>. Fu, altresì, rilevato che i famosi “ cerchietti “ si erano ridotti: ne mancavano 63. Nella notte dal 10 all’11, infatti, un colpo di vento aveva strappato i palloni e ne erano rimasti solo 27.
 
Tutta la Marina inglese in navigazione:
è scattato il piano “ MB 8 “
Va detto, a proposito del timore degli inglesi, che la Squadra, secondo gli ordini di Supermarina dell’8 novembre, era pronta a muovere << … risultando in mare, da almeno 24 ore, la forza navale di Alessandria ed essendo uscite ieri sera da Gibilterra, con rotta levante, la corazzata Barham, la n.p.a. Ark Royal, con tre incrociatori e undici cc.tt. >>.
Tutta la Marina inglese era, in realtà, dal 6 novembre in movimento: da Alessandria , agli ordini di Cunningham, era partita la Mediterranean Fleet, composta da quattro corazzate ( Warspite, Valiant, Malaya e Ramillies ), dalla n.p.a. Illustrious, da incrociatori e da cc.tt.; da Gibilterra, il giorno successivo, aveva salpato le ancore, a sua volta, la Forza H, costituita dalla corazzata Barham, dalla n.p.a. Ark Royal, da tre incrociatori e da undici cc.tt.
Era, praticamente, in atto la “ Operazione MB 8 “, che impegnava sei forze navali composte da cinque corazzate, due portaerei, dieci incrociatori, trenta cc.tt. e tre dragamine con obbiettivi diversi. Oltre All’attacco a Taranto, l’operazione prevedeva la scorta di quattro convogli, dei quali: l’MW 3 di cinque navi mercantili da Alessandria a Malta (allo stesso furono aggiunte tre navi cariche di munizioni e cannoni per las base di Suda); l’AN 6 di tre navi, che trasportavano benzina e nafta dall’Egitto alla Grecia; l’ME 3 di quattro navi che tornavano vuote da Malta ad Alessandria , e un quarto dalla Grecia e dalla Turchia.
Nel grafico n. 1 è indicata la rotta seguita sia dai convogli, sia dalle forze navali, che navigavano a nord della prima << in posizione favorevole per poter intercettare eventuali navi da guerra italiane che avessero tentato di attaccare il convoglio MW 3 >>. Quest’ultimo fu, infatti, scoperto a metà percorso tra Creta e Malta, alle 12.30 del giorno 8, dalla ricognizione aerea italiana che si vide costretta, dall’azione dei caccia della Illustrious, ad abbandonare il campo. Un successivo aereo comparve nel cielo della Mediterranean Fleet alle 15.20 e, ancora una volta, fu allontanato. Un’ora dopo sette bombardieri “ S 79 “ attaccarono, senza successo, la formazione inglese e, nello scontro con i “Fulmar “, due vennero abbattuti.

 

  Cunningham era, intanto, arrivato a 180 miglia dalla Sicilia e, navigando a sud-est di Malta, si accingeva ad andare all’appuntamento con la Forza H mentre, alle ore 9 del giorno 9, la corazzata Ramilles e tre incrociatori facevano, con il convoglio, rotta su Malta. Nella tarda mattina e nel pomeriggio riapparve nel cielo l’aviazione italiana e, alle ore 16.04, fu abbattuto un “ Cant 506 “. Nello stesso tempo i velivoli della n.p.a. della Ark Royal bombardavano l’aeroporto di Elmas in Sardegna mentre aerei nazionali attaccavano la corazzata Barham.
Il mattino seguente (10 novembre), alle ore 8.15, Pantelleria avvistò sei navi che avevano passato il Canale di Sicilia e che dirigevano per Malta. Erano, appunto, la Barham, gli incrociatori Berwck e Glasgow, con tre cc.tt.. Mentre la prima si recava al “rendez vius “ con la Mediterranean Fleet, gli altri due raggiunsero Malta per sbarcare le truppe trasportate. Il resto della Forza H aveva ripreso la via del ritorno in Inghilterra.
A mezzogiorno, Cunningham era a circa 40 miglia a ponente di Malta con una corazzata in più ( in totale 5 e tutte armate di cannoni da 381 mm), altri tre incrociatori e tre cc.tt.. Contemporaneamente dall’isola erano partiti il convoglio diretto a Suda, che comprendeva il monitore Terror ( anch’esso armato da due cannoni da 381 e da artiglierie di medio calibro) assegnato alla difesa di quella base, e il convoglio ME 3 che, scortato dalla corazzata  , dall’incrociatore contraereo Coventry e da due cc.tt., faceva rotta alla volta di Alessandria.
Alle ore 13.30 dieci bombardieri italiani presero contatto con la formazione inglese e l’attaccarono in due ondate, ma senza eccessivi danni.