La notte di Taranto
(11 novembre 1940)
 

Ha inizio l’operazione “ Judgment “

 

Dopo aver accostato verso levante, a mezzogiorno del giorno 11, la Mediterranean Fleet era ritornata in una posizione a metà strada tra Malta e Creta. Quindi cambiò rotta mettendo la prua verso Nord-Est: aveva inizio l’operazione “ Judgment”. Dal grosso si è staccata, alle ore 12, la “ Forza X “, composta dagli incrociatori Sidney, Aiax, Orion, sul quale alza la propria insegna l’Amm. Pridham Wippel. E’ scortata dai cc.tt. Nubian e Mohawk, obbiettivo l’intercettazione, nel canale d’Otranto, di un convoglio italiano di quattro navi che naviga sulla rotta Bari-Brindisi-Otranto-Valona. E, alle ore 18, così come previsto dal paino d’operazione, anche la Illustrious, scortata dagli incrociatori Gloucester, Berwick, Glasgow e York, lascia la formazione che, con un’inversione di rotta, punta su Alessandria. Quella, invece, mette la prua sul punto X per 270° a 40 miglia da punta Kabbo (Cefalonia), dove dovrà giungere alle 20.00.
Quest’ora - si legge nei piani operativi - << è stata scelta per ridurre al minimo il rischio d’attacchi di forze di superficie >>, che veniva considerato maggiore di quello della intercettazione della ricognizione aerea, la quale, come abbiamo visto, non riuscì quasi mai ad avvicinarsi alla flotta << perché ostacolata dai vigilanti caccia della Fleet Air Arm>>.
Il comandante in capo delle FF.NN. italiane, Amm. Inigo Campioni, era, insomma, privo di notizie sui movimenti del nemico, mentre, su ordine di Supermarina, teneva le Squadre navali pronte a muovere in tre ore. Avrebbe potuto affrontare, disponendo di sei corazzate e, quindi, di una schiacciante superiorità, la Forza H a sud della Sardegna, raggiungibile, dirigendo per lo stretto di Messina, << nello spazio di circa 27 ore a velocità di 20 nodi>>. Non poteva, però, contrastare la Mediterranean Fleet, anche se a conoscenza della sua rotta. Quest’ultima, infatti, disponeva di cinque navi da battaglia tutte armate con cannoni da 381 mm., a differenza del maggior numero delle corazzate italiane (Cavour, Cesare, Doria e Duilio), il cui armamento era costituito da cannoni da 320/44. Inoltre, Cunningham aveva una portaerei mentre la Marina italiana non annoverava, tra le sue forze, unità del genere.
<< Anziché tentare l’impiego manovrato delle forze navali di superficie>>, Supermarina aveva affidato, il giorno 9, il contrasto alla Forza H ai sommergibili e agli aerei, persistendo <<nel mantenere le forze navali concentrate a Taranto >>. Non prese alcuna decisione per quanto si riferiva alla Mediterranean Fleet, non avendo, peraltro, sufficienti informazioni. Ritenne che Cunningham, dopo aver rifornito Malta, stesse rientrando ad Alessandria.
Gli stessi rapporti inviati da Pantelleria e da Linosa, a proposito del transito nel Canale di Sicilia della Barham e degli incrociatori Barwick e Glasgow del mattino del 10, ingenerarono, infatti, una certa sorpresa. La notizia che << un imprecisato numero e tipo di navi satva procedendo da Malta verso levante >> non poteva, poi, non confermare le precedenti supposizioni. Oggi sappiamo dalla documentazione del Navy Records che si trattava del convoglio “ ME 3” il quale, scortato dalla Ramillies, dal Coventry e da due cc.tt., aveva lasciato Malta alle ore 13.30 di quello stesso 10 novembre.
La portata dell’operazione “ MB 8 ” e la quantità delle forze impegnate riuscirono, senza dubbio, a disorientare lo S.M. della Marina Italiana che, pur avendo allertato le Squadre navali, non poté disporne, concludendo, l’impiego, in quanto << i risultati della ricognizione aerea furono negativi >>. E sappiamo, altresì, che l’unica possibilità di successo per l’attacco alla flotta in porto era, appunto, l’evitarne l’uscita in mare. Donde l’attenta vigilanza aerea per impedire ai ricognitori di segnalare che la Mediterranean Fleet dalle ore 12 dell’11 aveva messo la prua verso Nord-Est.

 

Attaccco aereo 11 - 12 novembre 1940 - Ormeggi in Mar Piccolo

Non ci possiamo più chiedere come una portaerei britannica abbia potuto, senza essere intercettata dalla ricognizione aerea, avvicinandosi ad una distanza utile per sferrare l’attacco contro Taranto perché troveremo sempre la stessa risposta: ogni qualvolta i velivoli italiani apparvero nel cielo della flotta di Cunningham, furono abbattuti o messi in fuga dalla superiorità dei caccia della Illustrious. E suonerà, altresì, amara la certezza di M. A. Bragadin, secondo il quale << a Supermarina si dava per scontato che, se le forze britanniche fossero arrivate dentro un raggio d’operazione di 180 miglia, quelle italiane sarebbero uscite a dar battaglia agli inglesi e a impedire loro di lanciare un attacco aereo sul porto >>.
Il dato innegabile è che il predominio inglese dell’aria non fu solo << un fattore di capitale importanza per la riuscita di tutta l’operazione >> ma anche la testimonianza di quella inadeguatezza dei mezzi impegnati nella ricognizione aerea marittima, denunciata, prima dell’inizio delle ostilità, dall’allora Capo di S.M. e Sottosegretario di Stato per la Marina, Amm. Domenico Cavagnari, che, peraltro, si era anche pronunciato su una certa difficoltà di dover confidare sulla cooperazione delle forze aeree. Non si tratta di un giudizio postumo ma di lungimiranza e, soprattutto, di giuste valutazioni sulla potenzialità offensiva dei mezzi aerei, sulla loro capacità di sfruttare la vulnerabilità delle navi, attaccandole con siluro perché, secondo quanto detto da un ammiraglio americano, è molto più efficace << fare entrare l’acqua dal di sotto che l’aria dal di sopra >>. E per raggiungere questa possibilità, per dirla con Cunningham, uno dei requisiti più importanti di “ Judgment “ era << di potersi avvicinare inosservati alla posizione di involo >> dei famosi “ Swordfish “. Così come, d’altro canto, accadde.
Alle ore 20.00, la n.p.a. Illustrious, dopo aver raggiunto il punto X, mette, infatti, la prua al vento e aumenta la velocità a 28 nodi. Quindi lancia i primi dodici aerei, dei quali sei, come già detto, sono armati di siluro e gli altri con bombe a bengala. Secondo il piano di volo, essi dovranno coprire la distanza dall’obbiettivo, circa 200 miglia, volando ad una velocità di 75 nodi e ad un’altezza di 2.200 metri, in non più di tre ore, in modo da essere nel cielo di Taranto non oltre le 23, quando, cioè, la luna, che sorgeva alle 15.43, si sarebbe trovata su un azimut di 197° ad un’altezza di 52°. Guida l’815° Gruppo ( e diviso in quattro sezioni di tre aerei ciascuno in formazione a V) il Cap. di Corv. Nicole W. Williamson, che ha come osservatore il Ten. di Vasc. Norman Scarlett.
Vediamo, intanto, cosa accade a Taranto dove, all ore 19.55, una stazione aerofonica di ascolto ha ascoltato, in una zona a sud del porto, il rumore di velivoli. Dieci minuti dopo, altre stazioni confermano analogo ascolto. Il comandante della piazza ordina di suonare l’allarme e, mentre la popolazione corre ai rifugi antiaerei, le batterie passano dalla fase di allerta a quella di allarme. Poco dopo i posti di ascolto annunciano che il rumore dei motori è scomparso e viene, quindi, suonato il cessato allarme. Ma è di breve durata : a distanza di 45 minuti, un nuovo allarme e, ancora una volta, ritorno alla normalità.
Oggi sappiamo che l’intruso c’era stato ed era un “ Sunderland “ del 228° Gruppo del Comando del Medio Oriente, il quale stava << eseguendo la sua importante missione di pattugliamento del golfo e di sorveglianza dei movimenti della flotta >>.
 

  Nonostante il violento fuoco di sbarramento,

 venti “ Swordfish “ arrivano sull’obbiettivo.
 
Alle 22.25 suona il terzo allarme: rumore di aerei in avvicinamento da Sud-Est, sempre crescenti. Le batterie della zona di San Vito si mettono << a vomitare fiamme mentre traccianti rossi e arancioni solcano il cielo >> nel versante Sud-Est è cominciata quella che passerà alla storia come “ La notte di Taranto “. Ed è questo cielo illuminato da un violento fuoco di sbarramento contro gli aerei invisibili che vede, alle 22.50, il Com.te Williamson.
<< Il tempo è bello e chiaro, con una leggera brezza di superficie ma, all’altezza di 2.400 m., soffia un vento da ponente di 10 nodi. Il cielo è coperto da sottili nubi per otto decimi e la luna è a tre quarti su un azimut di 190° >>. Alle 23 i << bengalieri >> sorvolano Capo S. Vito e, a intervalli di mezzo miglio l’uno dall’altro, cominciano a gettare gli << artifizi illuminanti >> sulla costa orientale del golfo, mentre Williamson e i suoi sezionari – L4R ed L4C – volano verso il centro del Mar Grande picchiando a bassa quota, dentro l’inferno di ferro e fuoco vomitato dalle batterie e dalle mitragliere.

Scendendo rapidamente di quota, il primo si trovò davanti la Cavour, contro la quale sganciò il siluro. Poi accostò sulla dritta ma fu raggiunto da una granata e abbattuto. Il siluro colpì la corazzata ed esplose sotto la chiglia fra plancia e la Torre n° 2.
Gli altri due “ Swordfish “, non potendo attaccare la Vittorio Veneto, in quanto spostati troppo a sud, sganciarono anch’essi a 650 m. i propri ordigni contro la Cavour ma nessuno raggiunse l’obbiettivo. Quindi, virarono rapidamente e fanno rotta verso la portaerei.
La seconda sezione ( L4K, L4M, ed E4F), comandata dal Ten. di Vasc. N. McI. Kemp, passa a nord dell’isola di San Pietro ad un’altezza di 1.200 m. e, sfuggendo al fuoco, punta contro le sagome delle corazzate che si staccano chiaramente davanti alla luce dei bengala.

 

L' attacco degli " Swordfish"

Kemp scende quasi a pelo d’acqua e, puntando l’aereo sulla Littorio, a 900 m., libera il siluro che raggiunge la nave sulla fiancata di dritta. E così il suo sezionarlo L4M che, dopo una virata a nord dell’isola di S. Pietro, a 300 m. di altezza si porta verso l’estremità settentrionale della diga e, volando a bassa quota, lancia il siluro a circa 365 m. dalla Littorio, colpendola sulla fiancata di sinistra. L’ultimo degli aerei (E4F), zigzagando per evitare il fuoco antiaereo, punta anch’esso sulla Littorio, ma il suo siluro manca il bersaglio ed esplode alle 23.15 sul fondo del mare, vicino alla fiancata di dritta.

 

 I bombardieri, dal loro canto, portano a termine l’azione ormeggiate in Mar Piccolo ma senza alcun grave danno, eccezion fatta per un angar della base idrovolanti.
L’attacco è durato 35 minuti ma un altro se ne annunzia. Alle 21.20, l’Illoustrious ha, infatti, rimesso la prua al vento e lanciato la seconda ondata, guidata dal Cap. di Corv. J. W. Hale, comandante dell’819° Gruppo. Invece di nove aerei ne sono partiti otto, che giungono su Taranto alle 23.50
Solita manovra dei “bengalesi “ e successivo attacco degli aerosiluranti, che si conclude con due nuovi siluri contro la Littorio, uno contro la Veneto, uno contro la Duilio e un altro contro l’incrociatore Gorizia.