La notte di Taranto
(11 novembre 1940)
 

11 lanci ma solo cinque siluri raggiungono le corazzate.

  Due aerei abbattuti

In totale, nelle due ondate, erano stati fatti 11 lanci e solo cinque ordigni erano andati a segno: tre contro la Littorio (una falla di 15x10 m. sulla fiancata di dritta, nel compartimento in corrispondenza della Torre n° 1 da 152 mm.); un’altra di 7x15 m. a sinistra, nei pressi del locale << agghiaccio timone >>; una terza di 12x9 nella carena, sempre sulla fiancata di dritta a proravia della prima: una bugna nella fiancata di dritta, prodotta dal siluro inesploso e ritrovato conficcato nel fango sotto lo scafo); uno contro la Duilio (uno squarcio di 11x7 m. nella fiancata di dritta, tra i depositi di munizioni n. 1 e n. 2 che si allagarono) e uno contro la Cavour (una falla di 12x8 m. sulla fiancata sinistra che, come conseguenza, provocò l’allagamento dei depositi di nafta n. 1 e n. 2, oltre ai locali adiacenti).

La Littorio colpita da tre siluri. Per evitare
La corazzata Cavour dopo l'attacco con l'acqua l'affondamento viene portata a incagliare
all'altezza del ponte superiore sul basso fondale

Furono abbattuti due aerei: il primo dell’815° Gruppo avente la sigla L4Acon a bordo, come già detto, il Cap. di Corv. Williamson e il Ten. di Vasc. Scarlett, catturati prigionieri; l’altro appartenente all’813° Gruppo e contraddistinto con la sigla E4H, pilotato dal Ten. di Vasc. G. W. Bayley e avente come osservatore il Te, di Vasc. H. J. Slaughter, dati per dispersi. Le perdite umane italiane furono sulla Littorio, 23 uomini; sulla Cavour, sedici e, sulla Duilio, uno.

La contraerea aveva sparato in un’ora di fuoco: 8.588 colpi di cannone, dei quali il 17% era stato esploso da bocche da 1°2 mm., il 3,5% da 100 mm.e il 79,5 da 76 mm.; 4901 colpi fra mitragliatrici da 40,20 e 8 mm.. In totale erano stati esplosi 143 colpi di cannone e 82 di mitragliera al minuto. In questo calcolo non è compreso il consumo di munizioni da parte delle navi, limitato esclusivamente alle mitragliere, che era stato intenso.
I due aerei abbattuti ( uno in ciascuna ondata ) dimostrarono che il tiro contraereo fu insufficiente e, quantomeno, inadeguato per il tipo di attacco, se è pur vero che il fuoco di sbarramento consentì agli “ Swordfish “, aerei lenti, di trovare il varco e di mettersi in posizione di lancio a brevissima distanza dai bersagli. Altre due riflessioni: i danni subiti dalle navi furono ingenti e si deve alla perizia dei comandanti e degli equipaggi se non affondarono, perché riuscirono a portarle sui fondali bassi, dai quali, poi, le tireranno su i tecnici e le maestranze dell’Arsenale M.M. che, ancora una volta, si rivelarono all’altezza dei compiti.
Riparate provvisoriamente le falle e con l'aiuto di grossi
cilindri  di bilanciamento, la Littorio torna a galleggiare e
quindi rimorchiata attraversa il Canale navigabile
Anche se quelle fossero state circondate da reti da 10 m., ogni protezione sarebbe risultata vana perché << i regolatori di profondità dei siluri erano stati graduati a m. 10,60 >>, come risulta dagli ordini di operazione. Un’alba triste, quindi, quella del giorno 12per i trentini che si affacciarono dal lungomare sulla rada di Mar Grande. Alla loro vista apparve uno spettacolo desolante: predelle “ loro “ navi più belle e più care giacevano ferite gravemente in un mare la cui superficie era coperto da uno strato spesso oleoso: dalle arterie squarciate fluiva la linfa.

 

La corazzata Andrea Doria non colpita La corazzata Vittorio Veneto non colpita
Circondate da mezzi di salvataggio, gli equipaggi tentavano disperatamente di salvarle. Al fianco della Littorio, un sommergibile la riforniva d’energia elettrica mentre una cisterna sottobordo, a sinistra, ne imbarcava la nafta per controbilanciare l’allagamento. La Cavour, interamente invasa dalle acque e poggiata sul fondo, mostrava solo le sue sovrastrutture, mentre la Duilio era incagliata a poche centinaia di metri dalla riva.
Volti angosciati, lacrime di dispetto, stupore per il colpo inferto ma anche un alto senso di responsabilità civile che vide la mobilitazione di tutte le risorse umane e tecniche dall’Arsenale. Rimorchiatori e squadre di soccorso andavano e venivano dalle navi, bisognose di assistenza.
Alcuni operai del bacino galleggiante avevano fornito i primi soccorsi al Cap. di Corv. Williamson e al Ten. di Vasc. Scarlett che furono, poi, trasportati sul ct. Fulmine dove ricevettero << tutte le cure prima di essere sbarcati >>. Altri ritrovarono il corpo del Ten.di Vasc. Bayley che sarà seppellito con gli onori militari nel cimitero tArentino, dal quale verrà, poi, traslato in quello dell’Imperial War Graves Commission di Bari.
Gli inglesi pensarono di riprovarci ma…
 
Il pericolo di un ulteriore tentativo di ripetere l’attacco la sera del 12 novembre indusse l’alto comando navale a disporre la immediata partenza delle navi rimaste incolumi. E così, nel pomeriggio, le corazzate Vittorio Veneto, Cesare e Doria, con una divisione di incrociatori della 2^ Squadra navale, prese il mare alla volta di Napoli mentre il Gruppo degli incrociatori pesanti fu dirottato a Messina. E in vero, a bordo della Illustrious fervono i preparativi per ripetere l’attacco.
<< La nuova azione era stata approvata dal comandante in capo, dopo aver ricevuto un messaggio di Lyster, nel quale egli raccomandava di attaccare prima che il nemico avesse avuto il tempo di fortificare le difese >>.
Cunningham, comunque, verso le 16.00 cominciò a dubitare << se aveva ildiritto di richiedere tale ulteriore sforzo agli aviatori della portaerei >>, tantoppiù che uno dei piloti lamentò: << dopo tutto avevano chiesta alla Light Brigade di farlo soltanto una volta >>. La decisione fu rimessa a Lyster ma una sfavorevole previsione del tempo delle ore 18, che annunciava un sensibile peggioramento nella zona, fece desistere lo stesso Cunningham dal ripetere l’operazione e lo indusse a riprendere la rotta per Alessandria, dove giunse il 14 novembre.
Qui si ferma la nostra ricostruzione storica su “ La notte di Taranto “, degli eventi che la precedettero e seguirono. Nella elaborazione dei fatti abbiamo rinunciato alle tradizionali fonti narrative, preferendo leggere quei documenti riservati e quei rapporti di comandanti protagonisti degli stessi che, inquadrati cronologicamente, ci hanno consentito di verificare non solo testimonianze sospette ma anche diverse. Sicché, ci sembra che lo sforzo compiuto per cogliere i fatti de “ La notte di Taranto “, rispecchi, al di là delle conclusioni derivabili dalla loro interpretazione, chiaramente il bisogno, ancora oggi esistente nelle coscienze, di sapere non perché alcuni uomini agirono come agirono. Tuttavia, come insegna Marc Bloch, la conoscenza del passato è una cosa in fieri, che si trasforma e si perfeziona incessantemente.

 

In questa foto scattata da un Glenn Martin della 431
Fligt il 12 novembre, le navi ancorate  nel Mar Piccolo
mantenevano ancora le posizioni  del giorno 
precedente, ad eccezione dell'incrociatore Trento  (n.3)
che, dopo essere stato colpito da una bomba , aveva
lasciato  l'attracco alla banchina. Si ritiene che le
chiazze attorno agli incrociatori Bolzano (n:.4) e Trento
(n.5) indichino che le due navi stessero manovrando.
 
 
E noi vogliamo prendere lo spunto dalla << comprensibile esagerazione >> di Churchill che nel dare la notizia alla Camera dei Comuni del fatto d’arme, aggiunse: << Il risultato influenza decisamente l’equilibrio del potere marittimo nel mediterraneo e contiene in sé i presupposti per future azioni sulla situazione navale in ogni parte del mondo>>.
Il << buon Winni >> era, in realtà un tantino portato a gonfiare i fatti giacché, se è pur vero che tre delle sei navi da battaglia italiane erano state poste fuori combattimento, nessuna di esse era danneggiata in modo da non poter essere riparata. La Littorio, infatti, tornò operativa alla fine di marzo 1941 e la Duilio a metà maggio 1941, mentre solo la Cavour richiederà tempi più lunghi
(settembre del 1943). In altre parole, l’unico risultato veramente positivo de “ La notte di Taranto “, per Cunningham, fu la ridislocazione della flotta nel Tirreno e, quindi, la possibilità di non essere contrastato nei movimenti tra i due bacini del Mediterraneo, non potendo quella contare sul suo << ombrello aereo >>. << Ciò riduceva, anche se non l’aboliva completamente – egli ha scritto, a tal proposito -, la minaccia della flotta nemica contro la nostra interminabile successione di convogli per la Grecia e per Creta, e ci permise di ridurre la forza delle nostre navi da battaglia nel Mediterraneo orientale. Ne venne,

Settembre 1942 - La Littorio ha da poco terminato i

lavori di riparazione dei danni subiti nel corso  
dell'operazione "Mezzo Giugno" ormeggiata nella rada
di Mar Piccolo protetta dalle reti parasiluri
 come conseguenza, un certo sollievo ai nostri affaticati cc.tt. poiché ne occorreva un numero minore per proteggere dai sommergibili una flotta di minori proporzioni >>.
Non appena giunsero in Sicilia le prime unità del Fliegerkorps X e 330 aerei, tra “ Junkers 87 B “, “ Messerschmitt 109 “, " Dornier 18 “ e “ Arado 196 “, furono schierati sugli aeroporti di Catania, Comiso, Trapani, Palermo e Reggio Calabria, cominciarono, infatti, i guai. Cioè le navi da battaglia intanto potevano esercitare la loro potenza in quanto avevano una copertura aerea, senza della quale anche una flotta superiore per bocche di cannoni poteva essere impegnata solo nel tradizionale concetto di Alfred T.Mahan, ossia di << flotta in potenza <<. E forse neppure, dati i risultati dell’attacco a Taranto.
 

 

  Golfo della Sirte, dicembre 1941 - La Divisione navi da battaglia Littorio e Vittorio Veneto apre il fuoco
contro gli incrociatori inglesi alla distanza di 29.000 metri.
In questa logica della “ Fleet in being “, la quale paralizza, nel Mediterraneo come altrove, l’azione delle forze navali inglesi, si inquadra, altresì, il disegno di War Cabinet di sfruttare, secondo l’antica strategia del cinese Sun Tsu, la linea psicologica per indebolire il morale degli italiani, affidando alla London Controllino Section o << fabbrica degli inganni >> anche “ La notte di Taranto “.